Una tesi totalmente all'opposto dell'idea di resilienza.1
A partire dalla mia pratica e dalla mia riflessione di psicanalista, sostengo che qualunque essere umano, che lo voglia o no, è un creatore e la teoria della resilienza si arena su ciò che la psicoanalisi ci ha insegnato a far risalire alla scelta di ogni soggetto e permette, quindi, di sfuggire alla questione della responsabilità. La creazione è quello che ogni soggetto pone in essere per trattare l'intrattabile della pulsione, cioè quello che pulsa incessantemente in lui. Nessuno può sfuggire al destino di compiere un'opera nella propria vita. La "resilienza" poggia dunque, secondo il mio giudizio, su una negazione dell'esistenza dell'inconscio: "Della nostra posizione di soggetti, siamo sempre responsabili", scrive J. Lancan2. Per la psicoanalisi il soggetto è sempre responsabile delle sue azioni e di tutto quello che gli succede. Responsabile, non colpevole.
L'uomo all'opera
Il punto di riferimento a cui qui miro va al di là di questi giudizi di valore. La questione sul filo del rasoio che io avanzo è la seguente: qual è l'opera che ciascuno sta realizzando? Non in bene o in male, non opere d'arte od opere umili, ma: che cos'è che un soggetto fabbrica? Può assomigliare al male, all'infelicità o al malessere, non è questa la questione. AI di fuori di qualunque categoria e classificazione, che cosa posso sentire, vedere e comprendere di ciò che un soggetto fabbrica nel senso più materiale del termine? È a questo che bisogna fare attenzione, altrimenti in quei contesti in cui si ha il dovere di stare vicini alle persone con difficoltà vitali, come nelle istituzioni sociali o medico-sociali, se non si fa attenzione, avremo presto come risultato quello di produrre una segregazione tra normali e anormali. I normali sarebbero i responsabili dell'inquadramento, i medici, gli psicologi, gli educatori, il personale AMP (Assistenti Medico Psicologici, Nd7) e il personale amministrativo e di intrattenimento, mentre gli anormali sarebbero le persone accolte, presto classificate in tante scatole per giustificare questa segregazione; trisomici, psicotici, disabili senso-motori ecc. e più gli anormali tendono a ricalcare il loro comportamento su quello dei responsabili dell'inquadramento, più si dice che se la cavano. La nozione di resilienza non va forse in questo senso?
Ora, qualunque soggetto è condannato ad avere a che fare con le sue soddisfazioni. Che gli manchi un pezzo di cervello, che abbia disturbi visivi o auditivi, difficoltà ad entrare in relazione con gli altri o che si chiuda in attività anti-sociali, tutto questo non cambia la questione di una virgola. Se non prendiamo in considerazione questa dimensione creatrice propria di tutti gli esseri umani, siamo fuori di testa. Questo vuoi dire che si produce una massa informe di esseri allo stato di vegetali e di cose che vengono posati in letti o poltrone e che bisogna guardare come prigionieri. Se non vogliamo essere fuori di testa dobbiamo aprirci alla sfida di quello che chiamo "una clinica del soggetto". Tutti gli esseri nati al linguaggio sono nostri fratelli in umanità, ma molto spesso siamo noi che ci diciamo normali che abbiamo degli handicap che ci impediscono di andare verso di loro: non sappiamo trovare, per andare loro incontro, i sentieri della creazione.
Fare con ciò che ci abita
Qualunque creazione nasce dalla forza delle pulsioni e della libido e si presta alla creazione di molteplici strade. Con la medesima energia pulsionale si possono fare molte cose. La pulsione è come una sorgente di montagna che pulsa, pulsa, pulsa e non vuole che una cosa: raggiungere il più in fretta possibile il punto di acquietamento della tensione che la abita e cioè il livello del mare. Nella lingua francese è sufficiente aggiungere una "e" alla fine della parola mer (mare) per ottenere il fine della pulsione, la madre (in francese mère) e raggiungerne il livello. Il desiderio degli uomini, instancabile, è un desiderio incestuoso: è per questo che è proibito; ma è proprio per questo che è così forte: appunto perché è proibito. Sulle sorgenti di montagna gli uomini hanno costruito delle dighe per canalizzare la forza bruta dell'acqua. Così facendo hanno accumulato energie enormi che usano per produrre elettricità o movimenti meccanici che azionano delle macchine. Mi ricordo di uno dei miei zii che viveva in Bretagna in un bosco in cui non c'era elettricità. Aveva deviato un ruscello, costruito una ruota a pale e sull'a]bero di trasmissione aveva collegato una dinamo che riforniva la casa di elettricità e delle cinghie per far girare diversi motori. La pulsione è la stessa cosa: esiste come forza creatrice perché ha incontrato un ostacolo sul suo cammino. Quest'ostacolo è la cultura degli uomini fatta di linguaggio. Prendete qui il termine linguaggio nel suo significato più generale : tutto nell'uomo è linguaggio. Quello che non lo è, quello che ne è escluso, quello che io chiamo l'infantile è la parte animale dell'uomo. La conquista di questa parte animale è incessante. È, ci dice Freud, come i polder in Olanda, dove si conquistano poco a poco delle terre da coltivare prosciugando il mare. Questo sbarramento che la pulsione incontra sul suo cammino e che ne accumula la forza è ancorata in una funzione: la funzione paterna, che è quello che funge da sbarramento al godimento, che designa il potere dello sbarramento di fronte alla potenza della pulsione, la quale è condannata ad unirsi a questa funzione per proseguire il suo cammino. In uno sbarramento, quello che trasforma l'energia bruta in energia "addomesticata" come l'elettricità, sono delle turbine che derivano la potenza dell'acqua a profitto della collettività. Allo stesso modo, una delle trasformazioni più interessanti della pulsione è una derivazione socializzante che Freud ha chiamato "sublimazione". Partecipare alla comunità degli uomini con il proprio lavoro o la propria attività, legarsi agli altri uomini e creare degli oggetti: ecco la caratteristica essenziale della sublimazione. Ma ricordo che la spinta della pulsione è costante: pulsa pulsa e le turbine della sublimazione non sempre funzionano così bene: sono arrugginite, oppure il soggetto vuole un godimento più rapido, anzi, immediato. ]n effetti, è necessario molto tempo per addomesticare la capacità della sublimazione e bisogna accettare molte insoddisfazioni e attese, bisogna apprendere molto per imboccare le vie lavorative o artistiche. Non si impara in un giorno a dipingere, scolpire o cantare. Anche se l'arte della creazione spunta exnihilo, l'apprendimento della tecnica che nasce da questo atto esige del tempo, degli sforzi e dei sacrifici. E siccome la creazione continua a spingere, può passare per altri sentieri creativi. Questi altri sentieri sono quello che Freud chiama le formazioni dell'inconscio, essendo quest'ultimo, come si dirà molto dopo, il serbatoio delle pulsioni prodotto per accumulazione della libido frenata e deviata nella sua corsa dalla cultura. La pulsione si può allora aprire una strada nella materia dello stesso ostacolo, attraversarlo. Sono queste creazioni che Freud ha scoperto e che gli hanno fatto avanzare l'ipotesi dell'inconscio. Sono i lapsus: volete dire una parola e ve ne viene un'altra; il non ricordarsi le parole; o ancora gli atti mancati, che sono dei grandi successi dell'inconscio. Abbiamo anche questa piccola macchina straordinaria nel riciclare i desideri inconsapevoli e nell'offrire loro una via creativa: i sogni. Un po' più sorprendenti a mano a mano che la forza della pulsione si fa più pressante sono le diverse manifestazioni del passaggio all'atto. l[ passaggio all'atto significa che appare un agire al posto di un dire attraverso i] linguaggio. È come un linguaggio, ma con dei falli e dei gesti: un soggetto che non trova il passaggio per il flusso pulsionale in vie socialmente accettate, passa i limiti, supera i confini o, come si dice, perde la testa. Infine c'è una serie di creazioni che stupiscono, quelli che in psicoanalisi vengono chiamati i sintomi. Freud suddivide i sintomi in tre categorie, a seconda del modo in cui un soggetto è in rapporto con il linguaggio: nevrosi, psicosi e perversione sono delle vere creazioni. Che facciano soffrire non cambia le cose. Il paradosso che la psicoanalisi solleva è che soffrendo il soggetto produce un acquietamento della pulsione. Quando leggiamo i deliri di Paul Schreber (Memorie di un malato di netvi3j celebre psicotico di inizio secolo studiato da Freud a partire da questo testo, non possiamo che essere colpiti dallo sviluppo creativo delle sue produzioni. Questo dà allo psicanalista un'indicazione terapeutica precisa: quando uno psicotico comincia a delirare, non è il momento di smontare le sue costruzioni, perché a suo modo gestisce la pulsione. I] delirio è una forma di creazione e, dopo tutto, se questo ci disturba dobbiamo andare a curarci come personale medico per sopportarlo. Lo si sopporta bene in quei nostri contemporanei che chiamiamo artisti. Il delirio è, infatti, una produzione in cui la pulsione incontra le vie del linguaggio nella parola, nella scrittura o in tutte ]e altre forme di espressione e ritrova dunque [e vie della sub[imazione, cioè della socializzazione. Nel suo Totem e tabù Freud sostiene questa tesi con fermezza: "Da una parte le nevrosi presentano delle analogie stupefacenti e profonde con ]e grandi produzioni sociali dell'arte, della religione e della filosofia; dall'altra appaiono come deformazioni di queste produzioni. Si potrebbe quasi dire che un'isteria è la caricatura di un'opera d'arte, che una nevrosi ossessiva è la caricatura della religione e che una mania paranoica è una parodia della filosofia". Piuttosto che di caricatura e di parodia, avanzo l'ipotesi che si tratti di produzioni della stessa natura. tutte derivanti dalla gestione della pu]sione da parte del soggetto. Nella psicoanalisi non esiste resilienza, ma esiste un soggetto e
la sua responsabilità di quello che ha fatto della propria vita. Con quale diritto penseremmo che esistono vite degne di essere vissute e altre no?
Note
1 Sviluppi più ampi su questa questione, di cui si riprendono qui alcuni elementi, possono essere trovati nell'opera Psychanalyse pour le temps présent, Erès, 2002.
2 "La scienza e la verità", in J. Lacan, Ecrits, Seui!. 3 A cura, e con una Nota sui lettori di Schreber, di Roberto Calasso_ Trad. di Federico Scardinelli e Sabina de WaoL Milano, Adelphi, 1991 Traduzione dal tedesco Denkwurdlgkeiten eines Nervenkranken (NdT),
Bambini in Europa, settembre 2006